di Martina Moggio
Con l’arrivo della stagione estiva, l’uso delle creme solari diventa indispensabile per proteggere la nostra pelle dai dannosi raggi ultravioletti (UV) del sole. Tuttavia, l’uso diffuso di questi prodotti ha sollevato preoccupazioni riguardo al loro impatto ambientale, con un focus sugli ecosistemi marini. Tra questi, le barriere coralline sono tra gli ecosistemi più produttivi e diversificati del pianeta, ma sono estremamente vulnerabili all’inquinamento chimico. Si stima che ogni anno vengano rilasciate nelle acque marine tra le 6mila e le 14mila tonnellate di crema solare. Questo inquinamento è particolarmente concentrato nelle aree costiere frequentate dai turisti e le conseguenze sono allarmanti. A tal proposito, una ricerca condotta dall’Università di Cantabria in Spagna, ha documentato un incremento di titanio nel Mediterraneo del 20%, dopo una giornata in cui i bagnanti hanno affollato una spiaggia locale.
COMPONENTI CHIMICI NOCIVI
I principali nemici dell’ambiente sono soprattutto i filtri chimici contenuti nelle creme solari. Se da un lato proteggono la pelle dai raggi UV deviandoli, dall’altro mostrano effetti negativi sull’intero ecosistema marino provocando malformazioni nelle larve dei molluschi, danneggiando il sistema immunitario e riproduttivo dei ricci e riducendo la fertilità dei pesci a causa del loro accumulo in organi e tessuti. Tra questi, i più comuni sono:
- l’ossibenzone: questo composto chimico è in grado di esercitare la sua azione anche in dosi minime. In particolare, può causare sbiancamento dei coralli e può interferire con la riproduzione e la crescita dei coralli giovani, compromettendo la rigenerazione delle barriere coralline;
- l’ottinoxato: questo composto chimico è noto per la sua tossicità per coralli, pesci ed altre specie acquatiche. Come l’ossibenzone, contribuisce allo sbiancamento dei coralli e può alterare il comportamento e lo sviluppo dei pesci.
LEGISLAZIONE EUROPEA
Mentre alcuni paesi extraeuropei (Hawaii e Palau) sono corsi ai ripari approvando leggi ad hoc per la salvaguardia dell’ecosistema marino, in Europa non esiste ancora una normativa che imponga un freno ai filtri dannosi per l’ambiente. Soltanto in Francia l’Agenzia Nazionale per la Salute alimentare, ambientale e professionale ha richiesto il monitoraggio delle sostanze chimiche deleterie per le barriere coralline ed ha imposto restrizioni e divieti per limitarne il rilascio.
In attesa di aggiornamenti legislativi, sarebbe dunque opportuno:
- Preferire filtri solari fisici a base di biossido di titanio o ossido di zinco. Questi minerali riflettono i raggi UV piuttosto che assorbirli per cui risultano essere meno dannosi per l’ambiente rispetto ai filtri chimici e non provocano sbiancamento dei coralli.
- Prediligere formulazioni resistenti all’acqua che permangono più a lungo sulla pelle riducendo la dispersione in acqua.
- Verificare che il prodotto sia biodegradabile in modo chenon rimanga a lungo nell’ambiente marino.
- Scegliere creme che contengano ingredienti di origine vegetale provenienti da filiera controllata (come aloe vera, burro di karitè, melagrana).
- Assicurarsi che il packaging sia ecosostenibile (bioplastica).
L’uso delle creme solari è fondamentale per la salute umana, ma è altrettanto importante considerare il loro impatto ambientale. La scelta di prodotti eco-sostenibili, l’adozione di regolamentazioni adeguate ed una maggiore consapevolezza tra i consumatori possono contribuire a proteggere gli ecosistemi marini.
Per maggiori approfondimenti in merito all’Allegato VI del Regolamento 1223/2009 che disciplina i filtri solari riportando la tipologia di prodotto e la quantità massima da utilizzare, non perderti l’articolo pubblicato dal team di esperti di Biochem Consulting (leggi articolo).
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